di Raffaele Bonanni
Nel momento in cui il mondo è scosso da guerre e instabilità economica, la politica italiana appare sempre più chiusa in un confronto sterile, concentrata su questioni di scarsa rilevanza per la vita dei cittadini. Maggioranza e opposizione, spesso divise anche al loro interno, danno vita a un dibattito dai toni accesi ma dai contenuti evanescenti. Terzo mandato dei presidenti di Regione, perenni progetti di riforma della giustizia, premierato e autonomie regionali: sono questi i temi su cui si consuma oggi la battaglia politica, come se i veri problemi del Paese – il costo della vita, le disuguaglianze territoriali, le condizioni di lavoro, le carenze del sistema scolastico e sanitario – fossero dettagli trascurabili.
Proprio il cosiddetto premierato, esibito come la soluzione di tutti i mali per dare forza e stabilità al governo, meriterebbe una riflessione più profonda. L’idea di concentrare il potere nelle mani di un solo leader rischia di rivelarsi illusoria se non si affronta alla radice il malessere profondo della nostra democrazia: la crescente disaffezione dei cittadini. Una parte sempre più ampia di elettori ha smesso di votare, sfiduciata da partiti percepiti come oligarchie impermeabili, luoghi in cui le carriere politiche sono decise da pochi capi piuttosto che dal consenso popolare. Il Parlamento, da istituzione rappresentativa e plurale, si è trasformato negli anni in una camera di ratifica di nomine calate dall’alto, spesso senza radici nei territori e senza legame autentico con le comunità.
Il risultato di questo processo è sotto gli occhi di tutti: assemblee legislative svuotate di autorevolezza, governi indeboliti da basi elettorali sempre più fragili e una politica percepita come lontana anni luce dal Paese reale. Il sistema elettorale senza preferenze ha spento la competizione tra i candidati, generando un circolo vizioso di sfiducia e astensionismo. È questo il cuore del problema democratico italiano, una malattia che non si cura accentrando ancora di più il potere nelle mani di pochi, ma restituendo ai cittadini strumenti veri di partecipazione e rappresentanza.
E proprio da qui arriva un segnale di speranza. Pochi giorni fa un comitato di cattolici e liberali provenienti da diverse associazioni ha avviato presso la Corte Suprema di Cassazione la procedura per raccogliere le 50.000 firme necessarie per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare. Un’iniziativa concreta e ambiziosa, pensata per ripristinare le preferenze, reintrodurre un sistema proporzionale puro e adottare meccanismi di stabilità istituzionale come la sfiducia costruttiva sul modello tedesco. Una sfida lanciata dal basso, volta a ridare voce ai cittadini e a rendere le istituzioni nuovamente espressione autentica della loro volontà.
La sfiducia costruttiva, in particolare, rappresenta una garanzia di stabilità in una democrazia parlamentare evoluta: un governo può cadere solo se esiste già un’altra maggioranza pronta a sostituirlo, evitando le crisi al buio e le estenuanti paralisi istituzionali cui l’Italia è tristemente abituata. Il proporzionale integrale, d’altra parte, darebbe finalmente a ogni elettore la possibilità di vedere rappresentata la propria sensibilità politica e la propria comunità territoriale, eliminando le alchimie delle coalizioni preconfezionate e restituendo centralità al voto consapevole. E le preferenze reintrodurrebbero quel legame diretto tra elettori ed eletti spezzato da decenni di liste bloccate, favorendo la selezione di parlamentari radicati, competenti e responsabili.
Ma ciò che colpisce di più di questa iniziativa è anche il metodo scelto. La raccolta firme per una legge di iniziativa popolare offre una via d’uscita dal pantano dei veti incrociati e dai consueti giochi di palazzo, spesso finalizzati a difendere rendite di potere o a cucirsi addosso leggi elettorali di comodo. È proprio questo meccanismo autoreferenziale, del resto, ad aver condotto l’Italia a collezionare nel tempo riforme elettorali transitorie e incoerenti, pensate non per i cittadini ma per le maggioranze di turno. Ogni volta, chi si sentiva più forte ha cercato di modellare le regole a proprio vantaggio, solo per vederle smantellate dal governo successivo, alimentando una spirale di instabilità e di crescente distacco tra elettori ed eletti.
L’iniziativa popolare prova a spezzare questo copione. È un gesto di resistenza civile e di lungimiranza istituzionale, che parte dal basso e rimette al centro la partecipazione come principio vitale della nostra democrazia. È anche un appello alla responsabilità dei partiti, chiamati a superare le logiche di parte per costruire insieme un sistema elettorale più giusto, stabile e rappresentativo. Un sistema capace di far sentire ogni elettore protagonista, di ridare autorevolezza al Parlamento e di rendere i governi espressione di un consenso pienamente legittimato.
In un momento storico segnato da sfiducia diffusa e da una crescente distanza tra le istituzioni e la società, la proposta del comitato costituito da cattolici e liberali rappresenta un’occasione preziosa. Restituire voce e centralità ai cittadini significa rafforzare le basi stesse della nostra Repubblica, dare nuova linfa a una democrazia indebolita da anni di scelte miopi e di logiche spartitorie. È una sfida alta, certo, ma anche un passaggio necessario per costruire istituzioni più solide, governi più stabili e, soprattutto, una politica degna di questo nome.
Se la classe dirigente saprà ascoltare questo messaggio, l’Italia potrà finalmente voltare pagina, lasciandosi alle spalle le stagioni di riforme elettorali di comodo e le battaglie personalistiche che hanno soffocato il dibattito pubblico. Diversamente, continueremo a girare a vuoto tra veti incrociati e interessi di parte, con il rischio sempre più concreto di vedere la nostra democrazia indebolirsi ancora di più, allontanandosi da quel patto di fiducia tra elettori ed eletti che è la vera garanzia di ogni sistema libero e rappresentativo.
MENSILE POLITICO-CULTURALE PER I COMUNI A NORD DI NAPOLI - FONDATO NEL 1984